Sisma in Emilia: un evento per nulla inatteso

Carte alla mano, si può dimostrare non solo che la zonazione del rischio nel nostro paese è aggiornata e accurata, ma che per le zone colpite la magnitudo attesa già nel 2001 era superiore a quella registrata

Faglia di Mirandola, magnitudo attesa: 6,2”. Il dato, riportato nel Database di potenziali sorgenti di terremoti di magnitudo maggiore di 5,5 in Italia pubblicato sugli Annali di Geofisica nel 2001 a firma di Gianluca Valensise e Daniela Pantosti è di quelli che lasciano a bocca aperta dopo i recenti e tragici eventi del terremoto in Emilia Romagna, soprattutto per la coda di polemiche che ne è seguita.

Il rischio che potesse verificarsi un sisma così devastante era dunque già stato stimato? Che ne è stato di questo, come di altri dati già disponibili nella letteratura scientifica, per assistere ancora oggi al rimpallo di responsabilità sulla mancata prevenzione nel campo dell’edilizia?

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Un po’ di chiarezza può essere fatta ripercorrendo la storia delle mappe sismiche degli ultimi 15 anni, raccontata a “Le Scienze” da uno dei ricercatori che le hanno prodotte: Gianluca Valensise, attualmente Dirigente di Ricerca presso l’Ufficio Relazioni Scientifiche Istituzionali (URSI) dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV).

“Fino agli anni 96-97 il problema della pericolosità sismica della Pianura Padana era sostanzialmente sconosciuto alla normativa antisismica; poi sono uscite le prime carte di pericolosità che hanno iniziato a considerare quelle che oggi includiamo tra le zone a pericolosità medio/bassa”, esordisce Valensise. “Sottolineo, a scanso di equivoci, che bassa pericolosità non significa ‘piccoli terremoti’ ma terremoti anche robusti ma rari, o in termini più tecnici, una bassa probabilità di forti scuotimenti in un intervallo di tempo breve dal punto di vista geologico, ma confrontabile con la vita umana: diciamo 50 anni”.

Chiaramente, questo non significa che su un arco di temporale più ampio non ci possa essere un sisma più forte di quello previsto. “La carta di pericolosità è un prodotto di estrema sintesi ed è anche per questo motivo che può generare incomprensioni sui dati che vi sono riportati, a volte anche da parte di colleghi”, sottolinea Valensise. “A essa segue tutta una serie di allegati in cui viene riportata, zona per zona, la magnitudo massima attesa, e per la faglia di Mirandola, come tutti possono verificare, il valore era 6,2, quindi anche leggermente in eccesso rispetto al sisma che si è verificato”.

Insomma, fin qui è tutto  lineare: i geologi producono la mappatura delle sorgenti sismogeniche sulla base delle misurazioni delle dimensioni delle faglie, direttamente proporzionali alla magnitudo potenziale del sisma che possono produrre. I problemi nascono quando occorre implementare queste indicazioni nelle normative nazionali e regionali. E su questo argomento la storia successiva è eloquente.

“Nel 2002 arriva il terremoto di San Giuliano di Puglia: il governo si rende conto che la normativa in vigore è obsoleta (risale al 1983-84) e che nel frattempo erano state elaborate varie mappe di pericolosità e proposte di zonazione sismica del territorio”, prosegue Valensise. “La più nota tra le varie proposte di zonazione era stata sollecitata direttamente da Franco Barberi, allora a capo della Protezione Civile, e fu completata nel 1998. Era frutto del consenso tra vari enti coinvolti, tra cui l’INGV (allora ancora ING), il CNR e l’allora Servizio Sismico. Ma per vari motivi questa mappa non venne recepita dal governo di allora”.

Ecco dunque come si arriva al marzo 2003, quando viene fatta uscire in fretta e furia la zonazione del 1998, che consente una prima riclassificazione del territorio nazionale e che pone finalmente le zone interessate dal recente terremoto in seconda o terza categoria, caratterizzate cioè da una pericolosità media o medio-bassa.

“Nel frattempo il governo chiede all’INGV, nato nel 2001 per ‘fare ordine’ accorpando tutte le competenze in materia in un unico grande ente, di produrre una nuova mappa con i numerosi dati ‘freschi’ accumulati tra la fine degli anni ’90 e il 2003, ed è quella che ora si vede dappertutto”, conclude Valensise. “Anche questa mappa a sua volta deve attendere fino al 2006 per essere recepita in normativa; poi nel 2008 escono le Norme Tecniche per le Costruzioni, che indicano come si debbano costruire gli edifici secondo le indicazioni della carta. Anche le norme tecniche però rimangono al palo per un po’”.

Arriva infine il terremoto dell’Aquila del 2009, dopo il quale il Governo decide di intervenire. Fatti i conti, per l’implementazione delle conoscenze sismiche nelle normative delle Regioni, che nel frattempo sono diventate competenti anche in questa materia, sono trascorsi cinque anni. In definitiva, i dati sul rischio sismico in Italia ci sono e sono accurati; sta poi alla politica farne un buon uso.

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